domenica 31 marzo 2013
sabato 30 marzo 2013
Livorno e le sue enormi potenzialità: le persone che già ci sono
Il passato nel nostro Paese – e
nella nostra città – cosa ha visto? Una occupazione di alcune forze
partitiche degli spazi di affermazione culturale e di esercizio del potere.
Nelle istituzioni nazionali e locali si è verificata una “gestione della cosa
pubblica” degli esponenti che più si adeguavano alla corrente di pensiero o di
pressione del gruppo più forte (se non addirittura della persona più forte: ci
sono nel panorama non a caso i partiti-persona). Questo, non significa “fare di
tutta l’erba un fascio”. Sarà la storia a dirci l’esatta verità.
Dall’orizzonte planetario e
nazionale passiamo a trattare i temi che interessano esclusivamente la città
labronica.
Per l’aspetto culturale cosa si
può fare? Il discorso è complesso e qualsiasi “nuovo intervento” non può avere
la presunzione di annullare le “cose fatte” e soprattutto gli errori che ci
porteremo dietro per tanto tempo.
Pensiamo alle scelte di
urbanistica e di politiche sociali di integrazione. Se è vero come è vero che
Livorno dal punto di vista dell’aspetto urbanistico (la Porta a Mare che non
doveva essere un concentrato di nuove abitazioni) e dal punto di vista
dell’inserimento dei cittadini provenienti da altri Paesi (pensiamo a all’occupazione
di buona parte di un intero quartiere da parte degli extra-comunitari: la
parte a ridosso di piazza della Repubblica), allora vediamo che l’intervento di
una innovazione culturale si presenta difficile.
La cultura non è qualcosa di distaccato
dagli altri aspetti della realtà: la cultura si sviluppa dentro gli
spazi cittadini (urbanistica) e dentro la armonia o la conflittualità degli
aggloromerati urbani (centro e periferie), che non possono – o meglio, non
avrebbero dovuti essere lasciati al caso. L’urbanistica di una città che si è
spostata verso la Porta a Terra per una ben precisa scelta politica locale, con
il conseguimento “impoverimento” del centro città e non solo (scomparsa di
negozi, di proposte concrete di vivibilità, di cinema che si sono chiusi,
ecc…), è una realtà che non si può disconoscere.
A Livorno ci sono realtà
(organizzazioni, movimenti, comitati…) che stanno studiando gli errori del
passato. Dovremmo fare un’opera di sintesi e di sinergia con questi studi e con
le denunce che in questi anni si sono levate nel dibattito politico e culturale
nella nostra città. Ma la denuncia serve per delineare, prefigurare, elaborare
una “nuova” idea per la Livorno del futuro.
Sono chiuse o stanno chiudendo
tante aziende. Questa realtà dovrà esser affrontata con decisione da una specie
di nuova Classe dirigente locale che abbia la forza di ereditare le scelte
passate per andare a promuovere nuovi modi per “creare occupazione”.
A livello culturale, si può
proporre qualcosa subito, al di là della complessità delle scelte politiche
future?
Le risorse finanziarie sono
diminuite o sono scomparse (vediamo se la ripresa mondiale viene o tarda, e non
dipende ovviamente solo da noi). Ma la scommessa per una Città che vuole
puntare sui suoi giovani non può star a elencare solo gli “errori del passato”.
La pergamena non è caduta ai Quattro Mori per colpa della Merkel.
Ho un sogno. Aiutare le persone
che già sono presenti nella cultura cittadina. Marco Bertini (esponente
culturale), Claudio Marmugi (comico), Silvia Menicagli (studiosa). Il
presidente della Fondazione Goldoni Bertini è una persona che si è impegnata
nel promuovere la cultura a Livorno, una cultura non solo di élite e non solo
popolare. Mi ricordo a gennaio i docenti del Corpo del Ballo di Parigi giunti
nel Teatro Goldoni a condurre uno stage per giovani ballerini, venuti da tutta
Italia: Livorno in quei giorni sembrava una specie di piccola capitale della
danza. Ho visto di persona la bravura dei docenti francesi. Il mondo che viene a
Livorno; che bella idea.
Claudio Marmugi un semplice ma
bravo comico visto da me al Teatro Cral Eni di viale Ippolito Nievo che si è
distinto, da tempo, nel creare un gruppo presente sulle scene. Silvia Menicagli
studiosa delle Terme del Corallo, che si batte da anni per salvare questo bel
patrimonio livornese.
Mi sembra di sentire già i soliti
benpensanti: “E questo qui vuol salvare Livorno con i sogni?”. Le persone che
ho citato – scusate signori benpensanti
– sono persone che da anni danno il loro contributo di idee, passionalità e
forza. Sarà un “piccolo” contributo. Ma non mi sembra che la Politica livornese
di questi ultimi anni si sia accorta di loro. Ripartiamo da chi ha già
scommesso su Livorno, e i nomi che ho citato sono solo tre esponenti. Marco, Claudio e Silvia rappresentano tanti
altri che per ora non nomino… ma che esistono, qui e ora nelle piazze, nelle
aule scolastiche, nei vari laboratori presenti in città.
Aspettano solo di essere
valorizzati. E’ questa l’idea, antica e sempre nuova: partire da quello che
abbiamo e metterlo nel piatto con competenza e professionalità. Lo sanno negli
Usa che la prima Santa americana si è convertita a Livorno? Lo sanno in Europa
che abbiamo una bella Chiesa degli Olandesi, che fa vergogna a vedere e che se
ce l’avessero a Pistoia sarebbe famosa in Europa? Lo sanno nel mondo che a
Livorno c’è una via con tre chiese? E’ via della Madonna (andate a vedere e
spieghiamolo ai turisti che mangiano il gelato, oltrechè metterlo sul depliant
insieme al biglietto dei croceristi che sbarcano a Livorno e scappano a
Firenze).
I Medici fecero il “Porto franco”
e tutti i Popoli vennero a Livorno. A me sembra che ora stiano tutti andando
via. Abbiamo le risorse per invertire la rotta. Dobbiamo credere negli uomini e
nelle donne che ci sono e “ascoltare” quello che ci dice la città. Come dice
Enzo Iannacci, “bisogna avere orecchio”. Io sono pronto ad ascoltare. Lo faccio
da anni con i bambini della scuola elementare. E non è tempo perso.
Livorno, 30 marzo 2013 Fabio Papini
mercoledì 27 marzo 2013
PUNTARE AD UN SETTORE PER CREARE INNOVAZIONE ED OCCUPAZIONE : IL POLO DELLE PELLETTERIE FIORENTINE
Alta Scuola Pelletteria Italiana: 202 iscritti, 100% occupati
Pensando ai casi di successo non posso non citare il caso del POLO DELLE PELLETTERIE FIORENTINE di Scandicci.
Un territorio che ha partendo dalle sue radici, il tradizionale "saper fare" nella lavorazione della pelle e del cuoio, è diventato una eccellenza internazionale, capace di attirare le piu' grandi "maison" del mondo, creando occupazione, attirando talenti e migliorando la qualita' della vita della città.
Tra i soci della scuola si registra l’ingresso tra i soci della maison francese Celine, che va ad aggiungersi a Confindustria, Cna, Gucci, Prada e consorzio Centopercento Italiano
martedì 26 marzo 2013
Perche' circa la meta' delle merci importate via mare in Italia passa dai porti del Nord Europa
Il 47% delle merci immesse nel nostro Paese passa da Porti del Nord Europa.
Nella globalizzazione la competizione non è piu' tra singole imprese ma tra interi sistema territoriali nazionali e locali.
Lavorare a sistema diventa condizione necessaria per lo sviluppo del territorio
lunedì 25 marzo 2013
domenica 24 marzo 2013
Progetto Strategico per Livorno
Progetto per Livorno
Fonte
: Rapporto Irpet n. 39 (ottobre 2012) – II Trimestre 2012 continua la fase
recessiva
Facciamoci
alcune domande :
-
Perché un impresa dovrebbe decidersi di
insediarsi a Livorno ?
-
Perché’ un’impresa gia’ presente dovrebbe
rimanere ?
-
Perché un contribuente dovrebbe decidere di
contribuire qui anziche’ altrove ?
-
Perché un turista dovrebbe decidere di venire a
Livorno e non alle Cinque Terre per esempio ?
-
Perché un talento dovrebbe decidere di rimanere
qui anziche’ altrove?
-
Perché un giovane dovrebbe venire a studiare a
Livorno anziche’ altrove ?
-
Perché gli immigrati dovrebbero stabilirsi nella
nostra provincia ?
I
nuovi vincoli:
Maggiore
responsabilita’ individuale (in una epoca in cui nessuno può garantire ad
altri il loro futur es. i docenti nei
confronti degli studenti, i genitori nei confronti dei figli, i capi nei confronti dei subordinati, diviene
necessario la capacità di ognuno a rinnovare sistematicamente le proprie
competenze e conoscenze adattandosi alla
“società’ liquida”.
Globalizzazione
, con la caduta delle barriere geografiche, i piccoli laghi sono diventati
mare aperto ove per navigare è necessario un maggiore livello di istruzione,
competenze e professionalità. Globalizzazione
significa anche competizione tra
sistemi territoriali
La
necessità di scelte strategiche per il territorio. Se i
territori sono in competizione tra loro, ogni territorio deve identificare e
implementare una propria una strategia
competitiva per definire la propria visione del futuro (esempio quanto
voglio migliorare il reddito pro capite, il livello di istruzione, l’indice di
benessere e in quanto tempo?)
Occorre
cioe’ dare delle risposte adeguate alle
suddette domande, istanze del territorio in funzione dei nuovi vincoli e nel rispetto
di alcune condizioni ormai necessarie.
Ne cito solo alcune :
-
la competizione e la meritocrazia piuttosto che
la difesa ad oltranza dello status quo
-
la prospettiva internazionale sempre più’
richiesta dalla globalizzazione rispetto alle vecchie logiche provinciali
-
la necessità di un comportamento strategico per
il territorio, una visione chiara anziché vivere alla giornata
-
l’importanza dell’innovazione e l’autoresponsabilizzazione
individuale del lavoro e professione
-
il gioco di squadra, la coesione rispetto
all’individualismo sfrenato ma anche una maggiore attenzione al bene comune, solidarietà
e ai più deboli perché’ non rimangano emarginati
Chi
sono I Responsabili del Territorio ? Semplice, la politica , gli imprenditori, la società
civile cioè tutti noi.
E’
la Politica che deve farsi le domande per dare risposte
adeguate (perché un impresa deve insediarsi a Livorno? E cosi via)
Sono
gli imprenditori che devono garantire lo sviluppo alle proprie
imprese per creare ricchezza sul territorio
Infine
è la società civile che deve garantire l’attenzione, l’impegno e la
tutela della gestione strategica del proprio territorio.
Parliamo delle caratteristiche del nostro
sistema economico :
-
L’economia
livornese, in assenza di imprese con sede e capitale locale aventi
una vocazione internazionale dipende
molto dalla domanda interna (purtroppo attualmente asfittica). L’’economia
portuale ha fortemente condizionato ed impedito , nel bene e nel male, lo
sviluppo di altre tradizioni
manifatturiere tipiche dei Distretti toscani (pensiamo al Polo delle
Pelletterie fiorentine, la concia di Santa Croce, il marmo di Massa, la
tradizione orafa di Arezzo, il vitinicolo del Chianti, il farmaceutico di
Firenze..)
-
La nostra economia, ormai prevalentemente di servizi e di terziario, con la progressiva
perdita dei grandi siti produttivi pubblici e privati del dopo guerra – La Magona, Raffineria, La Spica, il Cantiere
Orlando rischia di perdere anche quel know how tecnico , cosi’ valorizzato in
altri territori (il Polo delle Pelletterie di Scandicci a Firenze, eccellenza a
livello mondiale grazie alla presenza di importanti griffe internazionali come
Ferragamo, Gucci, Prada ed altri con una rete fittissima di subfornitori è un evidente esempio di lungimiranza del
territorio).
-
Salvo alcune eccezioni di importanti aziende leader a livello
internazionale come Azimut nella nautica e Sassicaia a Bolgheri nell’ agrolimentare,
non esistono a Livorno, esempi di aziende a capitale locale, attive con un brand di grande importanza sui
mercati esteri e capaci di coinvolgere
tutto il territorio positivamente
-
Dal 91
è in atto nel nostro sistema economico, un progressivo processo di
deindustrializzazione che ha coinvolto l’area livornese ( con il
Porto, i mezzi di trasporto cantieristica
ed componentistica d’auto, la logistica), la Val di Cecina (con la chimica, l’alberghiero
e la produzione di energia), la Val di Cornia ( con il declino della siderurgia
rappresentata dalla ex Lucchini, Seven, l’ex La Magona,). L’unico settore che
ha visto crescere l’occupazione e le
unità produttive sono nelle Isole dell’Arcipelago il turismo balneare e
l’alberghiero, oltre il comparto agroalimentare, in particolare quello vitivinicolo
-
Il nostro territorio si caratterizza per una alta media anagrafica della popolazione
rispetto agli altri territori ( troppi pensionati rispetto alla popolazione
attiva con un eccessivo peso welfare - oltre 50.000 pensionati a Livorno) ed un
eccessivo tasso di disoccupazione
particolarmente elevata tra i giovani di sesso femminile.
-
Bassa
densità imprenditoriale rispetto alla popolazione e modesta dimensione aziendale delle unità
aziendali già esistenti
Quale
percorso strategico per il Territorio Livornese
1)Selezionare
i settori strategici per il territorio con la piu’ ampia ricaduta in termini di
occupazione e ricchezza prodotta, tra i settori strategici
della nostra economia, non possiamo, non menzionare il Porto, la Logistica avanzata, la Chimica, le Riparazioni Navali, la Nautica, Agroalimentare, l ‘Energetica ed
infine il web, le infrastrutture virtuali.
2)
Sostenere le imprese leader gia’ presenti sul territorio al fine
di accrescere la loro capacita’
competitiva , sostenendone tutte le componenti della loro filiera (non
necessariamente appartenenti allo stesso settore) : esempio con Azimut Benetti
(nautica), lavorano aziende attive nell’arredamento, carpenteria, motoristica…
In che modo ? Semplificando i loro adempimenti burocratici, normativi anche di
carattere fiscale ed in termini di normativa per il lavoro, l’impatto
ambientale, la formazione del personale e delle maestranze, trovando soluzioni
per ridurre il costo dell’energia (ad esempio con consorzi ad hoc). Facilitare
i rapporti di filiera tra le imprese virtuose e le imprese collegati, sia
subfornitrici, sia clienti anche favorendo la collocazione in aree territoriali
specifiche anche con incentivi fiscali (cluster) sull’esempio britannico.
3)
Sostenere le aggregazioni tra le imprese piu’ piccole e marginali. Premesso
che la dimensione aziendale è fattore cruciale per intraprendere strategie di
internazionalizzazione ed innovazione (principali driver per la competitività
di qualsiasi azienda) per le piccole imprese non legate a logiche di Filiera
con le imprese leader gia’ presenti sul territorio è necessario promuovere
nuove logiche aggregative ( contratti di
rete, consorzi, joint ventures) attraverso la creazione di nuovi soggetti
facilitatori che aiutino le imprese a collaborare insieme per aumentare la
massa critica secondo una logica di sviluppo sostenibile
4)
Incentivare lo nascita di nuove aziende anche start up per creare nuova
occupazione e ricchezza per il territorio in sinergia con il
mondo no profit e in nuovi settori legati all’arte e la cultura
Stante inoltre, la necessità di
accrescere la vocazione “imprenditoriale” del nostro territorio, condizionata
dalla secolare rendita di posizione derivante dalla felice ubicazione
geografica del porto, l’eccessiva
presenza di welfare, l’elevata media
anagrafica, occorre incentivare la
nascita di nuove imprese, start up in particolare in nuovi settori innovativi,
contigui e complementari a quelli tradizionali gia’ presenti come il web, comunicazioni, reti, agraria,
cultura, turismo innovativo, energetico.
5)
Sviluppare nuovi strumenti finanziari come il microcredito, i
fondi privati finalizzati a supportare nuovi progetti imprenditoriali, per un
miglior accesso al credito, nuovi modelli di sviluppo sostenibile quali l’economia del bene comune
4)
Creare nuove forme di collaborazione tra il mondo no profit ed il mondo
imprenditoriale per migliorare l’assistenza alle donne che
lavorano, l’assistenza agli anziani , sviluppare gli asili nido, il settore
turistico anche i funzione delle nuove esigenze.
5)
Sviluppare il settore dell’arte e della bellezza, per attrarre nuovi flussi da altri territori
alla scoperta delle bellezze geografiche, storiche della nostra citta’ e
eccellenze ( Il teatro Goldoni, l’Istituto Mascagni, l’Arcipelago, il Santuario
di Montenero, la bellezza della Costa degli Etruschi, la citta’ di Modigliani,
le Fortezze Medicee, i Macchiaoli, la comunità ebraica….)
6)
Investire sulle infrastrutture, per una sinergia reale tra Porto/Croceristica/Interporto/Aeroporto
Pisa/Arcipelago/ Firenze, In questo contesto diventa cruciale il
tema delle infrastrutture e le vie di comunicazione (tra Livorno e
Collesalvetti per l’interporto Vespucci ma anche tra Livorno e l’Aeroporto di
Pisa, tra la la costa e le isole dell’Arcipelago, tra Livorno e Firenze, ma
anche oltre l’appennino Bologna, Verona e Milano le grande filiere della
logistica)
Strategico, per il futuro soprattutto
per l’economia portuale livornese,vista la nostra ottimale posizione geografica,
i rapporti con i Paesi del Nord Africa
che grazie alla primavera araba stanno attraverso una grande trasformazione non
solo politica ma anche di valori.
Conclusioni
Condizione
sine qua non per la realizzazione di questo percorso è necessario investire in nuove forme di
collaborazione con la Scuola ed il Mondo delle Comunicazioni per lo sviluppo e
la diffusione dei valori culturali tra
la societa’ civile.
Le Nuove Paure
Questi sono i principali risultati della ricerca «Promuovere la previdenza complementare come strumento efficace per una longevità serena», realizzata dal Censis per la Covip, presentata a Roma da Francesco Maietta, Responsabile del settore Politiche sociali del Censis, e discussa da Giuseppe De Rita, Presidente del Censis, Antonio Finocchiaro, Presidente della Covip, e Elsa Fornero, Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali (gennaio 2013)
Dai lavoratori italiani allarme pensioni
Scarsa conoscenza della pensione futura e discontinuità dei percorsi lavorativi accrescono le paure. Il 39,4% degli occupati di 18-34 anni ha un percorso contributivo intermittente. E adesso l’allarme riguarda anche i dipendenti pubblici: il 21,4% teme di perdere il lavoro, il 24,1% di finire nel precariato. Malgrado i timori, le scelte di risparmio per la vecchiaia penalizzano la previdenza complementare, ancora troppo poco conosciuta
Roma, 23 gennaio 2013 – La pensione fa paura. I giovani lavoratori italiani (18-34 anni) credono che quando andranno in pensione riceveranno un assegno pari in media al 53,6% del loro reddito da lavoro. E il 30% di essi si aspetta una pensione di base inferiore alla metà del reddito attuale. Preoccupati da una vecchiaia da trascorrere in ristrettezze economiche (39%), sono consapevoli di dover integrare la pensione pubblica con qualche forma di risparmio: titoli mobiliari (38,8%), il mattone (19%) e la previdenza complementare (17,4%). È quanto emerge da una ricerca realizzata dal Censis per la Covip. Tra i giovani lavoratori non aderenti alla previdenza complementare, il 36% è disposto a farlo, anche se ora preferisce aspettare. Quando si pensa alla pensione, a prevalere è la paura: di perdere il lavoro e non riuscire a versare i contributi (34,3%), o di diventare precari e quindi di poter versare i contributi solo in modo saltuario (32,7%). Già oggi il 39,4% dei giovani lavoratori ha un percorso contributivo discontinuo a causa di lavori precari o impieghi senza versamenti pensionistici.
Rassegnati (e scontenti) a lavorare più a lungo. Solo il 23,5% dei lavoratori italiani ritiene che andrà in pensione all’età desiderata. Il 25% dei lavoratori pensa che andrà in pensione dopo i 70 anni. Ne è convinto il 25,7% degli occupati maschi e il 23,6% delle donne, il 34% dei lavoratori autonomi, il 23,4% dei dipendenti privati e il 14,5% degli impiegati pubblici. Pensa che andrà in pensione tra i 67 e i 69 anni il 18,2% dei lavoratori: il 19,9% tra i maschi e il 16,4% tra le donne. Ma solo il 5,2% dei lavoratori maschi e il 3,4% delle donne vorrebbero andare in pensione dopo i 70 anni. Il 31,2% desidererebbe andare in pensione addirittura prima dei 60 anni (il 25,9% dei maschi e il 37,5% delle donne), il 46% tra 60 e 63 anni (il 46,5% dei maschi e il 45,6% delle donne) e solo il 10% degli autonomi vorrebbe andare in pensione dopo i 70 anni, così come il 2,5% dei dipendenti privati e il 2,1% degli impiegati pubblici. Voglia di fuggire dal proprio lavoro e voglia di longevità attiva si saldano nel generare un’insoddisfazione diffusa rispetto al prolungamento dell’età pensionabile. La pensione è stata a lungo percepita dagli italiani come un’opportunità per fare finalmente altro, lo strumento per spezzare la rigidità della vita lavorativa. Adesso nella percezione collettiva queste convinzioni non ci sono più.
Posto fisso, pensione sicura? Ora anche i dipendenti pubblici cominciano a temere. Pensando alla pensione futura, anche il 21,4% dei dipendenti pubblici teme di perdere il lavoro e di non riuscire a versare i contributi, il 24,1% di finire nel precariato e di poter versare i contributi solo in modo intermittente, il 21,3% ha paura di non avere abbastanza reddito per finanziare forme integrative della pensione pubblica. Pur meno preoccupati dei dipendenti privati (tra i quali il 40,8% teme di perdere il lavoro e il 24,5% di diventare precario), tuttavia colpisce questa nuova inquietudine che coinvolge anche i dipendenti pubblici, antichi alfieri del posto fisso. Complessivamente, il 34% dei lavoratori pubblici, privati e autonomi teme di perdere il lavoro e di rimanere senza contribuzione, il 25% di finire nella precarietà con una contribuzione discontinua, il 20% di avere difficoltà a finanziarsi, oltre la pensione pubblica, forme integrative del reddito, come la previdenza complementare.
Previdenza complementare: conoscenza scarsa, fiducia poca. Non ci sono preclusioni ideologiche rispetto alla previdenza complementare, visto che il 42% dei lavoratori considera il sistema previdenziale misto, fatto di pubblico (pensione di base) e privato (pensione complementare), come il più sicuro. Il 40% ritiene invece più affidabile il sistema pubblico, il 18% quello privato. La quota di lavoratori che vede nel sistema misto il modello più sicuro è maggiore tra gli autonomi (il 47%), piuttosto che tra gli impiegati pubblici (32%). Il sistema pubblico è quello preferito dai dipendenti pubblici, mentre il privato puro trova l’accordo di una quota molto più elevata tra gli autonomi. Ma la conoscenza della previdenza complementare è scarsa: sono 16 milioni i lavoratori che non hanno idea di come funzioni. Tra i motivi della scelta di non aderire alla previdenza complementare, il 41% dichiara di non poterselo permettere, il 28% non si fida di questi strumenti, il 19% si ritiene troppo giovane per pensare alla pensione, il 9% preferisce lasciare il Tfr in azienda. Particolarmente bassa è la fiducia dei lavoratori autonomi, tra i quali il 35% dichiara di non aderire perché non si fida degli strumenti di previdenza complementare, percentuale che scende al 26,5% tra i dipendenti pubblici e al 26,3% tra quelli privati. Oltre al fattore economico, quindi, la scarsa diffusione della previdenza complementare dipende dalle voragini informative e dalla ridotta fiducia nei soggetti che attualmente offrono gli strumenti di previdenza complementare.
Un Paese di «analfabeti finanziari» (compresi i laureati). Il 47% dei lavoratori italiani non è in grado di comprendere gli effetti dell’interesse composto sul capitale in un normale conto corrente, il 49% non sa come varia il potere d’acquisto del proprio reddito a fronte dell’incremento dei prezzi (cioè non capisce gli effetti dell’inflazione), il 47% non è consapevole che l’acquisto di azioni è più rischioso dell’acquisto di quote di un fondo comune d’investimento. Circa 11 milioni di lavoratori non conoscono aspetti finanziari basic (come gli interessi sul capitale, l’inflazione, la rischiosità degli investimenti) o hanno una competenza molto ridotta. Studiare economia all’università aiuta poco in questo caso, visto che il 30,6% dei lavoratori laureati con studi in economia non conosce gli effetti degli interessi sul capitale, quindi il funzionamento di un investimento, il 39,2% non ha cognizione di come funziona l’inflazione, dell’impatto sul proprio reddito e sul potere d’acquisto, e il 16% non sa che l’acquisto di azioni di un’azienda è più rischioso dell’acquisto di quote di un fondo comune d’investimento.
Rassegnati (e scontenti) a lavorare più a lungo. Solo il 23,5% dei lavoratori italiani ritiene che andrà in pensione all’età desiderata. Il 25% dei lavoratori pensa che andrà in pensione dopo i 70 anni. Ne è convinto il 25,7% degli occupati maschi e il 23,6% delle donne, il 34% dei lavoratori autonomi, il 23,4% dei dipendenti privati e il 14,5% degli impiegati pubblici. Pensa che andrà in pensione tra i 67 e i 69 anni il 18,2% dei lavoratori: il 19,9% tra i maschi e il 16,4% tra le donne. Ma solo il 5,2% dei lavoratori maschi e il 3,4% delle donne vorrebbero andare in pensione dopo i 70 anni. Il 31,2% desidererebbe andare in pensione addirittura prima dei 60 anni (il 25,9% dei maschi e il 37,5% delle donne), il 46% tra 60 e 63 anni (il 46,5% dei maschi e il 45,6% delle donne) e solo il 10% degli autonomi vorrebbe andare in pensione dopo i 70 anni, così come il 2,5% dei dipendenti privati e il 2,1% degli impiegati pubblici. Voglia di fuggire dal proprio lavoro e voglia di longevità attiva si saldano nel generare un’insoddisfazione diffusa rispetto al prolungamento dell’età pensionabile. La pensione è stata a lungo percepita dagli italiani come un’opportunità per fare finalmente altro, lo strumento per spezzare la rigidità della vita lavorativa. Adesso nella percezione collettiva queste convinzioni non ci sono più.
Posto fisso, pensione sicura? Ora anche i dipendenti pubblici cominciano a temere. Pensando alla pensione futura, anche il 21,4% dei dipendenti pubblici teme di perdere il lavoro e di non riuscire a versare i contributi, il 24,1% di finire nel precariato e di poter versare i contributi solo in modo intermittente, il 21,3% ha paura di non avere abbastanza reddito per finanziare forme integrative della pensione pubblica. Pur meno preoccupati dei dipendenti privati (tra i quali il 40,8% teme di perdere il lavoro e il 24,5% di diventare precario), tuttavia colpisce questa nuova inquietudine che coinvolge anche i dipendenti pubblici, antichi alfieri del posto fisso. Complessivamente, il 34% dei lavoratori pubblici, privati e autonomi teme di perdere il lavoro e di rimanere senza contribuzione, il 25% di finire nella precarietà con una contribuzione discontinua, il 20% di avere difficoltà a finanziarsi, oltre la pensione pubblica, forme integrative del reddito, come la previdenza complementare.
Previdenza complementare: conoscenza scarsa, fiducia poca. Non ci sono preclusioni ideologiche rispetto alla previdenza complementare, visto che il 42% dei lavoratori considera il sistema previdenziale misto, fatto di pubblico (pensione di base) e privato (pensione complementare), come il più sicuro. Il 40% ritiene invece più affidabile il sistema pubblico, il 18% quello privato. La quota di lavoratori che vede nel sistema misto il modello più sicuro è maggiore tra gli autonomi (il 47%), piuttosto che tra gli impiegati pubblici (32%). Il sistema pubblico è quello preferito dai dipendenti pubblici, mentre il privato puro trova l’accordo di una quota molto più elevata tra gli autonomi. Ma la conoscenza della previdenza complementare è scarsa: sono 16 milioni i lavoratori che non hanno idea di come funzioni. Tra i motivi della scelta di non aderire alla previdenza complementare, il 41% dichiara di non poterselo permettere, il 28% non si fida di questi strumenti, il 19% si ritiene troppo giovane per pensare alla pensione, il 9% preferisce lasciare il Tfr in azienda. Particolarmente bassa è la fiducia dei lavoratori autonomi, tra i quali il 35% dichiara di non aderire perché non si fida degli strumenti di previdenza complementare, percentuale che scende al 26,5% tra i dipendenti pubblici e al 26,3% tra quelli privati. Oltre al fattore economico, quindi, la scarsa diffusione della previdenza complementare dipende dalle voragini informative e dalla ridotta fiducia nei soggetti che attualmente offrono gli strumenti di previdenza complementare.
Un Paese di «analfabeti finanziari» (compresi i laureati). Il 47% dei lavoratori italiani non è in grado di comprendere gli effetti dell’interesse composto sul capitale in un normale conto corrente, il 49% non sa come varia il potere d’acquisto del proprio reddito a fronte dell’incremento dei prezzi (cioè non capisce gli effetti dell’inflazione), il 47% non è consapevole che l’acquisto di azioni è più rischioso dell’acquisto di quote di un fondo comune d’investimento. Circa 11 milioni di lavoratori non conoscono aspetti finanziari basic (come gli interessi sul capitale, l’inflazione, la rischiosità degli investimenti) o hanno una competenza molto ridotta. Studiare economia all’università aiuta poco in questo caso, visto che il 30,6% dei lavoratori laureati con studi in economia non conosce gli effetti degli interessi sul capitale, quindi il funzionamento di un investimento, il 39,2% non ha cognizione di come funziona l’inflazione, dell’impatto sul proprio reddito e sul potere d’acquisto, e il 16% non sa che l’acquisto di azioni di un’azienda è più rischioso dell’acquisto di quote di un fondo comune d’investimento.
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